Il 23 settembre 2021 è stato approvato in via definitiva dal Senato della Repubblica (dopo il voto favorevole della Camera dei deputati) il disegno di legge “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere de­finizione dei procedimenti giudiziari”, noto come Riforma Cartabia.

Tra le novità più significative introdotte dalla Riforma vi sono quelle relative a due temi specifici:

  • il regime di prescrizione del reato, cioè il tempo entro il quale lo Stato può perseguire un accusato
  • la durata dei giudizi di impugnazione, cioè il tempo massimo entro il quale il gradi di giudizio vanno definiti.

La disciplina della prescrizione nella riforma Cartabia

La Riforma non incide sui termini necessari a prescrivere i reati.

Il reato si prescrive in un tempo pari alla pena massima prevista dal Codice penale o dalle altre leggi.

Per fare un esempio, il reato di usura è punito con una pena da 2 a dieci anni. Il massimo è dunque 10 anni, che coincide con il termine di prescrizione. Se il processo a un accusato di usura non si conclude in maniera definitiva entro 10 anni, il processo deve finire.

Nella generalità dei casi, la prescrizione minima è di 6 anni per i delitti (reati più gravi) e di 4 anni per le contravvenzioni (reati meno gravi),  di 3 anni invece per i reati puniti con pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria.

Questi termini sono raddoppiati per una serie di reati, individuati chiaramente dalla legge. Tra questi sono inclusi i reati sessuali, di criminalità organizzata e i maltrattamenti in famiglia.

Resta invariata anche  decorrenza del termine di prescrizione. Per calcolarla si utilizzano infatti:

  • il giorno della commissione del reato nella generalità dei reati
  • il giorno di termine della permanenza nel reato permanente
  • il giorno della continuazione nel reato continuato
  • il compimento del diciottesimo anno di età per i reati di sfruttamento sessuale nei confronti di minorenni.

 

Vengono però introdotte importanti novità che riguardano la disciplina della sospensione del corso della prescrizione. In particolare è stata abrogata la disposizione che prevede che la sentenza di primo grado sospenda la prescrizione sino alla conclusione del processo.

Questa norma venne introdotta dalla riforma che porta il nome del Ministro precedente, Alfonso Bonafede.

Nella Riforma Cartabia, al suo posto si prevede che dopo la sentenza di primo grado, indipendentemente che il processo si sia concluso con condanna o assoluzione, il corso della prescrizione cessa definitivamente.

In sostanza, se un reato viene perseguito nei tempi previsti e, entro i termini della prescrizione si arriva ad una sentenza di primo grado, con qualunque esito, il reato non si potrà più prescrivere.  Per evitare che questo significhi che gli ulteriori gradi del processo si estendano a dismisura è stato introdotto un principio ulteriore, come chiarito in seguito.

 

L’improcedibilità come limite di durata nei giudizi di impugnazione

Per evitare che la cessazione del corso della prescrizione dopo la pronuncia della sentenza di primo comporti il dilatarsi dei tempi del processo nella fase delle impugnazioni, la Riforma Cartabia introduce la  «improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione», inserita nell’art. 344bis c.p.p. da cui restano esclusi solo i delitti puniti con la pena dell’ergastolo.

Il giudizio d’appello e il giudizio di Cassazione devono concludersi in tempi certi e stabiliti (due anni e un anno), oltre i quali dovrà essere dichiarata l’improcedibilità dell’azione penale.

Il Giudice dell’impugnazione, se non riuscirà a finire il processo nei termini, dovrà definirlo in ogni caso con una sentenza di non doversi procedere.

L’imputato può rinunciare a questa ipotesi di improcedibilità per ottenere che il processo continui e si arrivi a una pronuncia di merito.

Nella Riforma Cartabia sono previste eccezioni per il decorso di questi termini che possono essere prorogati:

  • per un periodo non superiore a un anno in fase d’appello e a sei mesi in cassazione per i giudizi particolarmente complessi;
  • fino a un periodo massimo di tre anni per l’appello e un anno e sei mesi per il giudizio di cassazione per i delitti aggravati dal metodo o dall’agevolazione mafiosa di cui all’art. 4161 c.p.;
  • senza limiti di tempo per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale o nell’ambito di associazioni mafiose, nonché per quelli di violenza sessuale aggravata o di gruppo e di traffico di stupefacenti.

Infine, per dare modo alle Corti di adeguarsi ai tempi dettati dalla Riforma ed evitare così che la scure dell’improcedibilità colpisca i processi attualmente pendenti in appello o in cassazione, è prevista una disciplina transitoria.

La nuova causa di improcedibilità si applica solo nei procedimenti di impugnazione relativi a reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020 e, inoltre, nei procedimenti nei quali l’impugnazione è proposta entro il 31 dicembre 2024 i termini di improcedibilità sono di tre anni per l’appello e di un anno e sei mesi per il giudizio di cassazione.

Pertanto, solo quando la Riforma sarà pienamente a regime potrà valutarsi il suo impatto sui tempi di definizione dei procedimenti penali.