La rinuncia all’eredità in danno dei creditori

Chi viene chiamato a un’eredità ha dieci anni per decidere se accettare o se rinunciare.
Con la rinuncia all’eredità, i beni ereditari non entrano nel patrimonio del rinunciante e quest’ultimo non acquista la qualità di erede. Ma se chi rinuncia aveva, nel passato, contratto un debito, rinunciando pregiudica i diritti dei propri creditori che non potrebbero rivalersi sui beni ereditati per vedersi ripagati.
Il debitore che rinunci ad un’eredità, in sostanza, potrebbe pregiudicare i diritti dei propri creditori.
L’eredità, infatti, potrebbe incrementare il patrimonio del debitore e dare maggior garanzia al creditore per il recupero del credito.
Per questo motivo, il codice civile offre una tutela ai creditori.

L’adempimento spontaneo o coattivo del debito

Chi contrae un debito, infatti, dovrebbe ripagarlo spontaneamente al creditore, ma se non lo fa, deve risponderne con tutti i suoi beni presenti e futuri (come stabilito dall’art. 2470 del Codice Civile). Quando si parla di beni futuri, si intendono, ad esempio, i beni contenuti in un’eredità di cui entri in possesso il debitore dopo aver contratto il proprio debito.

L’impugnazione della rinuncia all’eredità

L’art. 524 del Codice Civile prevede che se il debitore rinuncia ad un’eredità provocando un danno ai suoi creditori, questi ultimi possono chiedere l’autorizzazione al Giudice per accettare l’eredità in nome e per conto del rinunciante.
Con quest’autorizzazione del Giudice, né i creditori né il debitore che ha fatto rinuncia all’eredità acquistano la qualità di eredi, ma i creditori saranno autorizzati ad aggredire i beni ereditari fino alla concorrenza del loro credito.

Questa azione deve essere avviata dai creditori entro cinque anni dalla rinuncia all’eredità esercitata dal debitore e richiede che siano presenti i seguenti presupposti:

  • deve ricorrere una rinuncia formale del debitore;
  • la rinuncia all’eredità deve provocare un danno prevedibile ai creditori (ossia i creditori devono dimostrare che sussistono “fondate ragioni” che fanno apparire il patrimonio personale del debitore incapiente);
  • non è richiesto che il debitore abbia rinunciato con l’intento di frodare i creditori.

Il concorso delle azioni esecutive con l’azione ex art. 524 c.c.
Il creditore, oltre a questa tutela, potrebbe anche agire in via esecutiva (ad es. con i pignoramenti) sui beni personali del debitore.

Le due azioni:

  • “impugnazione” della rinuncia all’eredità;
  • azione esecutiva sui beni personali del debitore

non sono incompatibili ma possono essere azionate insieme se ricorrono dei presupposti.

Il caso

Di Stasio Studio Legale, per tutelare un creditore, ha azionato entrambi gli strumenti di tutela.
Con gli avvocati Vincenzo D’Amore e Marianna Gubitosa, lo Studio ha pignorato l’unico bene immobile di proprietà del debitore che aveva dimostrato di non aver intenzione di adempiere spontaneamente al proprio obbligo di pagamento

Il debitore, però, aveva fatto confluire questo bene (che era l’unico di cui disponeva) in un fondo patrimoniale, costituito con la moglie. La presenza di un fondo patrimoniale rendeva più incerto il recupero del credito del debitore in quanto i beni del fondo non possono essere direttamente aggrediti per i debiti non contratti per i bisogni della famiglia.

Nel frattempo, il debitore aveva anche rinunciato all’eredità del proprio genitore che comprendeva vari immobili.

Ricorrevano i presupposti per i quali lo Studio, a tutela del creditore, procedesse con l’impugnazione della rinuncia all’eredità.

Il debitore si difendeva in giudizio incolpando il creditore di abuso del diritto e sosteneva che il pignoramento fosse sufficiente e che la successiva impugnazione della rinuncia all’eredità fosse persecutoria.

Lo Studio opponeva che l’abuso del diritto non si realizzasse in quanto:

  • il credito era certo e accertato da una sentenza;
  • il credito era sorto prima della devoluzione dell’eredità e prima della rinuncia all’eredità;
  • il debitore non aveva mai voluto pagare spontaneamente;
  • il debitore era proprietario di un solo immobile confluito in un fondo patrimoniale;
  • il pignoramento del bene del debitore era stato appena avviato e non era ancora stato accertato il valore del bene.

Lo Studio, in conclusione, sosteneva che l’avvio contestuale delle due azioni non fosse illegittimo.
Il Tribunale di Torre Annunziata aderiva totalmente alle difese dello Studio ed escludeva l’abuso del diritto, riconoscendo che nel caso di specie ricorrevano i presupposti per ritenere opportuna e legittima l’instaurazione delle due azioni.