Con l’introduzione del cosiddetto «Green Pass», si sono moltiplicati gli interrogativi a proposito delle vaccinazioni sul luogo di lavoro. La certificazione di vaccino o di tampone negativo dal 6 agosto sarà obbligatoria per accedere a ristoranti e altri locali, ma non ci sono ancora prescrizioni che la impongano agli addetti, siano titolari o lavoratori.
Con il decreto legge 44/2021 si è imposto l’obbligo vaccinale a tutti i dipendenti del settore sanitario, ma questo obbligo non è stato per ora esteso ad altre categorie.
Il datore di lavoro e il lavoratore no-vax
È legittimo che il lavoratore che non intende vaccinarsi subisca delle conseguenze?
Se sì, quali? Si può arrivare ad infliggere sanzioni disciplinari o a sospendere lo stipendio o addirittura a licenziare il lavoratore che non si vaccina (potendolo fare)?
Di Stasio Studio legale si è occupato dell’argomento in passato, (leggi l’articolo del 1 febbraio), al momento della massima diffusione del virus quando la normativa e la sua applicazione erano ancora molto confuse.
La recentissima novità è contenuta in una Ordinanza, emessa il 26 luglio 2021 dal Tribunale di Modena che ha ripreso i principi contenuti nelle norme costituzionali e ordinarie e li ha riletti alla luce dell’orientamento delle autorità comunitarie e in particolare della Direttiva 739/2020, che hanno inserito il Covid-19 tra gli agenti biologici contro i quali il datore di lavoro deve proteggere i lavoratori.
Le conseguenze per il lavoratore «no-vax»
L’ordinanza emessa stabilisce che un datore di lavoro può sospendere dal servizio e dalla retribuzione i dipendenti che non vogliono vaccinarsi contro il coronavirus.
Nonostante sia pacifico, nel nostro ordinamento (art. 32 della Costituzione), che non si possa imporre un trattamento sanitario se non per legge, in assenza di questa norma, vale il principio che il datore di lavoro è responsabile della sicurezza dei lavoratori nell’ambiente di lavoro, lo prescrive tanto il Codice Civile, quanto il Testo Unico sulla igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il giudice modenese non è stato l’unico ad occuparsi del tema, lo hanno preceduto il Tribunale di Udine e quello di Belluno, ma è importante l’affermazione di principio che si estende a tutti i settori: «Il datore di lavoro si pone come garante della salute e della sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all’interno dei locali aziendali e ha quindi l’obbligo ai sensi dell’articolo 2087 del Codice Civile di adottare tutte quelle misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori».
Il rifiuto di vaccinarsi non può dare origine a sanzioni disciplinari, ma certamente ha conseguenze sulle mansioni che possono essere affidate al lavoratore. L’infezione da Covid 19 contratto sul luogo di lavoro, infatti, è già stata riconosciuta come «infortunio sul lavoro», con tutte le ovvie conseguenze legali, previdenziali e assicurative.
L’obbligo vaccinale è astrattamente possibile e coerente con la Costituzione, ma senza arrivare a tanto, è auspicabile che il Legislatore adotti quanto prima provvedimenti utili a fare chiarezza in questo campo, per evitare l’insorgere di ulteriori contenziosi, che non farebbero altro che aggravare i danni che il Covid ha già portato alla salute, all’economia e alla serenità di tutti.