Il franchising è un accordo di collaborazione commerciale che unisce un’azienda che possieda una formula commerciale consolidata (affiliante, o franchisor), ad un’altra realtà imprenditoriale che aderisca a questa formula (affiliato, o franchisee).

Cos’è il franchising

Il contratto di franchising è infatti comunemente definito anche affiliazione commerciale.

È il contratto con il quale una parte concede all’altra la disponibilità, dietro corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale.

Questi diritti possono comprendere:

  • marchi
  • denominazioni commerciali
  • insegne
  • modelli di utilità
  • disegni
  • diritti d’autore
  • know-how
  • brevetti
  • assistenza o consulenza tecnica e commerciale.

L’affiliato viene così inserito in un sistema più ampio, costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi secondo un format già sperimentato e avviato.

Il franchising e la normativa antitrust

Da un lato, avviare un’attività in franchising comporta dei vantaggi per l’affiliato (franchisee) derivanti dall’inserimento in una rete distributiva già collaudata e dalla possibilità di utilizzare un marchio e un patrimonio di conoscenze ed esperienze imprenditoriali (know-how).

Dall’altro lato questa formula contrattuale non è esente da insidie e problematiche relative al rapporto tra il franchising e le normative antitrust

Sovente, infatti, i contratti di franchising contengono delle pattuizioni potenzialmente idonee a falsare e/o restringere il gioco della concorrenza, quali:

  • esclusive territoriali
  • imposizioni di prezzi
  • imposizioni di merci
  • limitazioni alla possibilità di contrattare con terzi.

 

La dipendenza economica

Su questo sfondo si colloca l’art. 9 della Legge 192 del 1988, Norme per la tutela della concorrenza e del mercato, che vieta l’abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica di una azienda concorrente.

Questa situazione si verifica quando un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, uno squilibrio di diritti e di obblighi ritenuto eccessivo dalla legge.

Il patto attraverso il quale si realizza ciò è nullo. Invocare l’abuso di dipendenza economica significa, però, affrontare un percorso complesso dal punto di vista procedurale.

Chi vuole far valere questa norma che disciplina il rapporto tra franchising e normativa antitrust, deve dimostrar la dipendenza economica. Su di lui incombe infatti l’onere della prova che persista l’abuso, che deve esser valutato in concreto dal giudice.

La prova in giudizio

La presenza di condizioni contrattuali inique non è da sola sufficiente a provarle lo stato di dipendenza economica, né esso può essere presunto nella fase della contrattazione.

È necessario che l’imprenditore debole (in genere, l’affiliato o il franchisee), dimostri di non aver avuto soddisfacenti alternative sul mercato. In sostanza deve provare di essere stato stato di fatto costretto ad aderire, non potendo esercitare alcun potere negoziale, ad un  contratto  predisposto unilateralmente  dall’impresa forte (in genere, l’affiliato o il franchisor).

L’autorità garante e l’istruttoria verso un noto franchisor.

Recentemente l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato un’istruttoria nei confronti di un noto franchisor. Erano state segnalate diverse condotte abusive poste in essere dall’affiliante nei confronti dell’affiliato. In particolare, il franchisee lamentava la presenza di clausole che ostacolavano, se non addirittura impedivano, lo svolgimento dell’attività aziendale.
Qualità e quantità degli ordini da destinare al punto vendita erano tali da costituire obiettivi non raggiungibili.

Il franchising, nel caso esaminato,  comportava oneri tali da determinare una dipendenza economica strutturale del rivenditore e consentiva al franchisor di gestire in modo discrezionale i quantitativi e la qualità degli ordini da destinare al punto vendita.

Il segnalante ha inoltre evidenziato che una clausola del contratto prevedeva l’impegno economico a carico dell’affiliato per la progettazione e la realizzazione del punto vendita, nonostante i costi fossero stimati dall’affiliante e i lavori affidati a professionisti da selezionati da quest’ultimo.

Le valutazioni dell’Autority

L’AGCM ha ritenuto che, alla luce delle norme che riguardano franchising e normativa antitrust, gli impegni economici e oneri nascenti dal contratto di franchising configurassero uno squilibrio eccessivo tra le parti tale da rendere difficoltosa, se non impossibile, la ricerca sul mercato alternative commerciali soddisfacenti.

Secondo l’Autority il franchisor avrebbe imposto al suo affiliato di mantenere una struttura di vendita ed un’organizzazione commerciale disegnata sulle proprie esigenze. L’imposizione di clausole ingiustificatamente gravose e finalizzate alla gestione degli ordini di acquisto e la loro applicazione discrezionale, condizionavano in quel caso l’attività economica del franchisee, impedendogli di gestire in autonomia la propria attività commerciale.

 

 

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